Recensione Questo piccolo grande amore (2009)

Attori giovani, carini, volenterosi come Emanuele Bosi e Maria P. Petruolo ce la mettono tutta per vivacizzare questa trama adolescenziale che vede Andrea e Giulia, i loro personaggi, dedicarsi anima e corpo a un primo amore che travolge inesorabilmente le loro vite.

Da Venditti a Baglioni

Dopo che il successo di Notte prima degli esami ha prodotto innumerevoli cloni di marca vendittiana, il testimone sembra ora passato a Claudio Baglioni. Su quale sarà la prossima canzone di un mostro sacro della nostra musica leggera a beneficiare della trasposizione sul grande schermo si accettano scommesse, anche se, stando alle indiscrezioni in arrivo, la rosa dei papabili è in continuo aumento.
Senza farci prendere dalla foga di guardare troppo oltre, restiamo pure sulla notizia: Questo piccolo grande amore, con la benedizione di Baglioni che ne ha curato personalmente le parti musicali, è finalmente un film. Ma per la soddisfazione di chi dovesse storcere il naso di fronte al "finalmente", possiamo dire che la nostra benedizione, al contrario, non è arrivata. La visione della pellicola diretta da Riccardo Donna, (il cui curriculum è ricco di esperienze televisive) ci ha lasciato piuttosto sconcertati per il tocco molto superficiale nel tratteggiare gli anni '70, nonché per la debolezza di un plot amoroso affidato a dialoghi improbabili e a voli di fantasia sconfinanti spesso e volentieri nel ridicolo.

In fondo i giovani Emanuele Bosi e Maria P. Petruolo sono terribilmente carini, volenterosi, un po' di impegno ce lo mettono pure per vivacizzare questa trama adolescenziale che vede Andrea e Giulia, i loro personaggi, dedicarsi anima e corpo a un primo amore che travolge inesorabilmente le loro vite. Giulia studia al liceo, ha ottimi voti, abita con la classica "famiglia perbene" - da cui si sente soffocata - in uno dei più ricchi e eleganti quartieri di Roma. Andrea invece fa il meccanico e al tempo stesso studia architettura all'università, con scarsi risultati perché, ancora imbevuto di utopie sessantottine, preferisce perdersi dietro ai suoi coloratissimi disegni e all'idea di trasformare Centocelle, la periferia in cui vive solo con la madre (perché il padre è all'estero per lavoro), in un luogo più allegro e a misura d'uomo.

Una ha amiche con la puzza sotto al naso, l'altro si gode la genuina semplicità di amicizie nate in borgata, gli opposti come spesso accade finiscono per attrarsi ma ben presto cominceranno i problemi, specialmente quando lui finisce nella gabbia autoritaria del servizio militare. Narrativamente fragili, ingenui, scontati, sono tuttavia i momenti del film che pongono in primo piano lo sbocciare del loro primo amore e, ancor di più, le soluzioni di sceneggiatura adottate per illustrare l'inevitabile crisi. In particolare la catena di equivoci che porta a continue rotture e a successivi riavvicinamenti arriva in modo così telefonato, e comunque artificioso, da rendere poco plausibili tali situazioni.
Altrettanto fuori misura sono i tentativi di contestualizzare storicamente la pellicola, con le manifestazioni in piazza dei "caldissimi" anni '70 trasformate in allegre carnevalate, interrotte poi brutalmente da schiere di celerini che sembrano sbucare da chissà dove. Qualche spiraglio sembra aprirsi in certe scene romantiche che aspirano al musical, con musicisti di strada e ballerini che sul Lungotevere fanno da coreografia a un bacio appassionato. Eppure, anche in questi spazi di libertà non mancano le forzature, ne sono un esempio gli effetti in computer grafica o di natura più tradizionale, ma sempre tendenti al kitsch, che colorano i sogni dei due protagonisti.

In un progetto cinematografico giocato poco sull'appeal del racconto e troppo sulla bellezza, fuori discussione, delle canzoni, è evidente il rischio che attorno ai protagonisti si accumulino bozzetti inconcludenti, affidati a quei personaggi secondari di impronta macchiettistica che raramente vengono sviluppati fino in fondo. Se dispiace, ad esempio, che un attore con la storia di Ivano Marescotti venga impiegato poco e male, tra i comprimari si fa strada qualche volto nuovo che merita comunque di essere seguito, su tutti il "Secco" ovvero Valentino Campitelli, ritratto di borgataro grassoccio, pigro, imbranato, la cui freschezza regala gag notevoli con un mix di simpatia e sfrontatezza.