Recensione Imago Mortis (2009)

Imago Mortis è una storia di fantasmi, un po' favola nera e un po' thriller, un racconto fuori dal tempo che avvolge lo spettatore in una dimensione magica e lo proietta in un incubo ad occhi aperti, un'avventura agghiacciante che va al di la di ogni immaginazione...

La morte negli occhi

Tempo, morte, paura, destino e la cattura delle immagini che diventa un'ossessione. Tutto questo in Imago Mortis (l'immagine della morte), l'intrigante horror gotico dell'italiano Stefano Bessoniche oltre ad essere un omaggio al Cinema e alla Fotografia è anche una dichiarazione d'amore del regista romano nei confronti di un genere che da sempre lo appassiona e lo stimola artisticamente e che, dopo i fasti argentiani degli anni '70 e '80, nel nostro paese si è inspiegabilmente eclissato.

Da quando ha perso i genitori in un tragico incidente per Bruno, uno studente spagnolo della Scuola Internazionale di cinema Murnau, non c'è più pace. Sembra avere perso contatto con la realtà: lo studio lo assorbe completamente, non riesce più a dormire e ogni giorno appena sveglio si scatta una foto in primo piano, un rito che per lui ha un significato importante, che scandisce il tempo quasi a ricordargli di essere ancora vivo. I suoi compagni cercano di stargli vicino, soprattutto Arianna che sembra ricambiare la simpatia che lui da sempre prova per lei e che per il suo pallore l'ha soprannominato affettuosamente Calavera, dal nome dei teschietti bianchi di zucchero e marzapane che si regalano ai bambini messicani nel giorno dei morti. Per riuscire a pagarsi la retta universitaria Bruno fa domanda di assunzione presso l'archivio della scuola, subito accettata di buon grado sia dalla Contessa Orsini, l'aristocratica collezionista di rettili proprietaria dell'Istituto, che dal direttore, il severo professor Gustav Olinski, detto Caligari per via la sua morbosa fissazione per il cinema espressionista tedesco.
I ritmi del ragazzo diventano insostenibili: tra i turni di notte a lavoro, i difficili esercizi fotografici assegnati da aligari e le lezioni, Bruno sembra alienarsi sempre di più dalla realtà ed ecco che iniziano a comparire delle orribili allucinazioni. La persona morta che appare nei suoi incubi e nelle misteriose visioni sembra volergli suggerire qualcosa, lo sta guidando lentamente verso la soluzione di un mistero, verso la scoperta di macabri progetti artistici, laboratori segreti, esperimenti scientifici e rudimentali macchine di morte che si nascondono dietro la facciata rispettabile della scuola e stanno per dare inizio ad una serie apparentemente inspiegabile di efferati omicidi.

Sembra infatti che qualcuno stia tentando da anni di ripetere e perfezionare gli esperimenti iniziati nel Seicento da uno scienziato di nome Fumagalli (personaggio ispirato liberamente alla figura del gesuita Athanasius Kircher, filosofo e matematico legato allo studio del tempo e dell'antichità, autore del libro Ars Magna Lucis et Umbrae in Mundo, citato nel film ndr) un uomo ossessionato dall'idea di catturare le immagini. Nel corso dei suoi studi Fumagalli scoprì la thanatografia, una tecnica di molto precedente alla fotografia basata sulla riproduzione dell'ultima immagine fissata sulla retina prima della morte: uccidendo una persona e estraendo i suoi bulbi oculari egli era convinto di riuscire idealmente a fermare il tempo e a riprodurre su un supporto quel preciso ultimo istante di vita.
Con l'aiuto di Arianna e del suo sesto senso, Bruno dovrà vedersela con le menti bacate di chi si nasconde dietro questo assurdo e oscuro disegno, ed arriverà a ricostruire l'intricato complotto che si cela tra i corridoi della tetra scuola di cinema...

Lo spunto creativo nasce diversi anni fa nella mente del disegnatore e fumettista Stefano Bessoni, zoologo mancato con una grandissima passione per la scienza e per il cinema, che è rimasto del tutto incantato di fronte alla pubblicazioni di studi fatti negli anni '70 da alcuni ricercatori che dimostravano di aver 'fermato' diverse immagini dalla retina dei topi da laboratorio. Dopo anni di documentazioni e studi approfonditi sull'argomento, nonché decine di scritture e riscritture, arriva in sala il 'suo' Imago Mortis, un film che non è solo un horror ma molto di più. E' una storia di fantasmi, un po' favola nera e un po' thriller, un racconto fuori dal tempo che avvolge lo spettatore in una dimensione magica e lo proietta in un incubo ad occhi aperti, un'avventura agghiacciante che va al di là di ogni immaginazione ricca di metafore e di poesia, un viaggio nella storia, un'affascinante immersione tra le passioni e le ossessioni dell'animo umano.

Girato in interni presso i Lumiq Studios di Torino e in esterni tra gli spazi dell'ex-Ospizio dei Poveri Vecchi (lo splendido istituto ottocentesco utilizzato anche da Dario Argento in Non ho sonno), la biblioteca della Facoltà di Lettere e l'Aula Magna della Facoltà di Economia, Imago Mortis è il primo horror italiano che dopo anni di totale apatia dimostra che come una rinascita di genere nel nostro paese sia non solo possibile ma anche indispensabile per dar voce a nuovi veri talenti, spesso costretti a buttarsi sulla solita insulsa commediola adolescenziale di iniziazione.
Co-produzione Italia/Spagna/Irlanda girata in presa diretta e in lingua inglese per garantirne una distribuzione internazionale, Imago Mortis è il risultato dello sforzo creativo e produttivo di un gruppo che ha dimostrato caparbietà, coraggio e voglia di innovazione, è un'opera stilisticamente e visivamente impeccabile alla cui base c'è un'evidente ricercatezza artistica e scenografica, un'accurata scelta delle location, degli attori e delle musiche, ma soprattutto una maniacale attenzione nella ricostruzione degli oggetti, degli strumenti chirurgici e degli arcaici 'gabinetti' in cui il cinema dell'orrore mosse i suoi primi passi.

Sia chiaro, Imago Mortis lungi dall'essere il capolavoro annunciato o la panacea di tutti i mali del cinema di genere italiano. E' un film sano, che trasuda fatica e impegno, fatto con vero talento e con quel pizzico di intelligenza che in altre produzioni nostrane latita grossolanamente, un'opera prima che pecca forse di qualche lungaggine di troppo e di qualche ingenuità in fase di scrittura dei dialoghi ma che, vista la complessità delle tematiche e della messa in scena che esse richiedevano, rappresenta senza ombra di dubbio una grande vittoria.

La speranza è che il pubblico possa premiare questi sforzi e che una volta tanto si riesca a preferire un buon film di genere italiano con attori non troppo famosi ad un pessimo film di genere americano con il nome altisonante a fare da specchietto per le allodole. In ultima battuta merita un plauso particolare la realizzazione della sequenza che nel finale del film mostra i risultati del difficile esperimento: una thanatografia perfetta, l'occhio nell'occhio all'infinito, un ultima indelebile immagine ad immortalare la vita nella morte.

Movieplayer.it

4.0/5