Recensione Roman Polanski: Wanted and Desired (2008)

Alla regista non interessa capire se Polanski fosse realmente colpevole, ma quali furono motivi a spingerlo alla fuga e quindi ad una sorta di esilio volontario da quello che era diventato il suo paese d'adozione dal punto di vista personale e lavorativo.

Il regista che fuggì dal passato

Roman Polanski: Wanted and Desired è il significativo titolo del bel documentario della regista Marina Zenovich - co-prodotto dalla HBO e dalla Weinstein Company - già presentato con discreto successo al Sundance Film Festival e inserito come Special Screening nel cartellone di Cannes 2008. Cercato dalla polizia degli Stati Uniti da cui fuggì trent'anni or sono prima di essere condannato per aver fatto sesso con una tredicenne e al tempo stesso desiderato dai cinefili, dai colleghi e soprattutto dalla stampa che sulla sua vita tumultuosa ha scritto e costruito intere pagine di giornali per decenni: due aggettivi che ben esprimono la contraddizione che avvolge il personaggio pubblico Roman Polanski che ci viene così raccontato attraverso gli occhi della giustizia e della stampa intervistando gli avvocati della difesa e dell'accusa, giornalisti che all'epoca hanno seguito il caso e perfino la vittima Samantha Geimer. Manca un intervento diretto del regista franco-polacco, ma la sua presenza è comunque garantita da filmati e interviste dell'epoca.

Quello che è interessante in questo documentario è che, contrariamente a quanto si poteva pensare, alla regista Zenovich non interessa capire se Polanski fosse realmente colpevole o no - anche se le dichiarazioni di accusa e difesa, e quelle successive del regista che conferma la sua predilizione per le ragazze molto giovani, sembrano lasciare pochi dubbi al riguardo - ma quali furono motivi a spingerlo alla fuga e quindi ad una sorta di esilio volontario da quello che era diventato il suo paese d'adozione dal punto di vista personale e lavorativo. Ed è una scelta vincente che apre effettivamente una parentesi nuova su una storia di cui si è parlato in lungo e in largo e dimostra come in realtà il processo sembrava aver raggiunto già una sorta di conclusione, per di più soddisfacente per entrambe le parti, ma un ulteriore intervento di Laurence J. Rittenband portò poi Polanski a decidere per la fuga. Rittenband nel suo campo era una sorta di celebrità alla pari di Polanski, un giudice di grande successo che era però noto anche per la sua vita privata visto che amava circondarsi di donne molto più giovani di lui e soprattutto di celebrità al punto tale di farsi assegnare di stanza ad Hollywood così da ottenere i processi con le star e guadagnarsi sempre il massimo della notorietà. La Zenovich, attraverso le parole degli intervista, dimostra una concerta responsabilità da parte del Giudice per la fuga del regista, considerato che tentò per ben due volte di manovrare sia accusa che difesa allo scopo di avere un processo che fosse ben visto alla stampa e all'opinione pubblica.

Il resto del repertorio, benché interessante, è un po' più tradizionale e va da immagini dei film di Polanski a testimonianze di amici, colleghi e produttori; non mancano anche documenti di Polanski con la moglie Sharon Tate e del periodo successivo all'omicidio di lei da parte della "famiglia" Manson, sequenze in cui è evidente l'accanimento, quasi immorale e inumano, della stampa nei confronti del regista de L'inquilino del terzo piano. Per quante responabilità possa avere, di certo Polanski non è mai stato fortunato non solo nella vita che gli ha riservato tragedie una dopo l'altra ma anche con la giustizia statunitense: in seguito infatti al rilascio di alcune informazioni sull'operato del giudice Rittenband nel 1997 fu assegnato al caso di Polanki un nuovo giudice disposto a ritirare ogni imputazione ma solo se avesse acconsentito ad un processo pubblico e televisivo. Polanski rifiutò - e infatti sei anni dopo non potè ritirare l'Oscar vinto per Il pianista - ed ancora oggi rimane (ri)cercato e desiderato.

Movieplayer.it

3.0/5