Recensione La tela dell'assassino (2004)

È nato un genere cinematografico a sé stante: il thriller alla Ashley Judd. Ma se in precedenza si era comportata degnamente, il suo lavoro su 'La tela dell'assassino' non le fa onore.

Sotto la tela niente

È ufficiale. È nato un genere cinematografico a sé stante: il thriller alla Ashley Judd. La bella attrice americana dimostra tutta la versatilità che possiede interpretando ruoli per donne d'alta classe (De-Lovely) e donne mascoline come in questo caso. Ma se ne Il collezionista, Colpevole d'innocenza e High Crimes - Crimini di stato si era comportata onoratamente, il suo lavoro su La tela dell'assassino è disonorevole. Suo malgrado. Magra consolazione, però.

Judd è una poliziotta appena promossa detective alla sezione omicidi (primo cliché). È tormentata da traumi infantili (secondo cliché) che risalgono all'omicidio della madre per mano del padre, poi suicida. Il padre era un poliziotto (terzo cliché). È stata accudita e cresciuta come una figlia dal collega del padre, ora suo capo (quarto cliché). Conseguenza di tutto ciò, è la vita sregolata che conduce che la porta ad essere violenta, cinica, psicolabile e spesso ubriaca (quinto cliché). È anche ninfomane. Questo non è un cliché, il che non può che compiacere.

Le prime pagine della sceneggiatura, dunque, non traboccano d'originalità. La brutta notizia è che il resto è anche peggio. Il serial killer del film decide che è ora di far fuori tutti i maschi con cui la detective è stata a letto. Con calma, uno dopo l'altro e marchiandoli con una bruciatura di sigaretta sulla mano. Altrimenti che razza di killer seriale sarebbe? Questo dovrebbe essere il sesto cliché, ma lo abboniamo. Il fatto che lei conosca le vittime personalmente non la mette sotto una buona luce, anzi. Gli elementi principali la indicano come prima indiziata. Lei stessa è di questo parere a causa di blackout mentali dovuti apparentemente al frequente stato di coma etilico.

La sceneggiatura, a questo punto, dirotta i sospetti dello spettatore pagante sui co-protagonisti. A turno ed in sequenza, i cinque eleggibili al trono di killer della bruciatura di sigaretta vengono puntati e scartati. Il colpevole naturalmente è l'ultimo rimasto e, per concludere in bellezza, svela nel faccia a faccia finale le ragioni che l'hanno indotto, ahinoi, ad uccidere. E qui si perde anche il conto dei cliché.

Ciò che sarebbe interessante sapere è cosa ha indotto, invece, stimati professionisti quali Samuel L. Jackson, Andy Garcia e Ashley Judd ad accettare una parte in questo film diretto Philip Kaufman. Anche quello dell'attore, in fondo, è un mestiere come un altro. Qualcosa di buono a volte lo si combina, altre volte no. La tela dell'assassino purtroppo si avvicina di più al 'altre volte no'.