Recensione Venezia '68 (2008)

A quarant'anni dal '68, la Mostra celebra attraverso illustri testimonianze il ricordo di un'edizione della Mostra dove la rivolta e la ribellione hanno fatto da protagoniste.

'Il contestume' che rovinò il Festival

Sono confuse e graffiate le immagini in bianco e nero che ritraggono i giovani critici di un tempo accalorati dalla protesta e dalla voglia di ribellarsi, scesi in piazza armati di striscioni e megafono a protestare contro la Mostra del cinema veneziana. Numerosi i nomi celebri tra i giornalisti e i cineasti italiani di allora che contestavano e cercavano di boicottare la manifestazione, per solidarizzare con le rivolte studetesche che nel '68 scuotevano l'Italia, ma soprattutto per protestare contro lo Statuto della Mostra ancora risalente al periodo fascista, rimasto immutato dalla fondazione del festival.

Venezia '68 ricostruisce in un film documentario, ricco di preziose immagini di repertorio, dichiarazioni e interviste, un anno che ha lasciato un segno indelebile nella memoria e nelle ossa del nostro paese e del festival stesso. Un'edizione che ha cambiato in modo radicale il modo di concepire il cinema, di celebrarlo, di legarlo oppure sradicarlo- a volte forzatamente- dal mercato, in nome di un intellettualismo radicale o, al contrario, di una corsa affannata all'accaparramento di un primato trai festival. La ricostruzione degli eventi della Venezia in sommossa e del loro surround culturale è alleggerita da aneddoti curiosi e divertenti e mostrata saggiamente evitando la celebrazione dello spirito di rivolta, sottolineandone invece i difetti in coloro che ne sono stati protagonisti.
Tutta l'Europa era in fermento e l'Italia non poteva essere da meno. A Cannes il festival era stato annullato dopo una serie di violente rivolte: si ricorda che una volta Truffault tagliò con un rasoio lo schermo di una sala. Quell'anno a Venezia il presidente della Mostra era Luigi Chiarini, colui che sosteneva che "il cinema è un'industria, ma il film è un'arte", quel personaggio che voleva fortemente un festival che facesse la differenza rispetto alle scelte commerciali, che votava per una manifestazione sinonimo di artisticità. Gian Luigi Rondi lo ricorda come l'uomo prima del quale il cinema nei festival era valutato solo come spettacolo commerciale, colui che è stato contestato anche senza precise ragioni da coloro che tenevano alti i toni della protesta sessantottina, forse senza una reale cognizione di causa.

Ugo Gregoretti racconta gli scontri con la polizia in Piazza San Marco quando era presidente dell'Anac (Associazione Nazionale degli Autori Cinematografici), il gruppo che guidava il movimento di protesta che aveva come principale aspirazione quella di rovinare la serata d'apertura del 25 agosto e bloccare il festival. In effetti il primo scopo della rivolta fu raggiunto, l'inaugurazione della Mostra fu ritardata al 27 agosto, dopo due giorni di lotta.
Cesare Zavattini, Giuliano Montaldo, Francesco Maselli, Franco Solinas, Roberto Faenza, Liliana Cavani, Pier Paolo Pasolini e molti altri fecero parte di coloro che ironicamente venivano chiamati "il contestume". Alcuni di loro, nelle testimonianze rilasciate per questo film, hanno ammesso la fragilità dei loro ideali di protesta e l'errore di aver fomentato una polemica contro il festival, quando alla fine la rivolta non è stato che un gesto controproducente verso il cinema stesso.

Lina Wertmüller commenta simpaticamente di non ricordarsi proprio perché protestavano se non per "la tremenda miopia del mondo cinematografico". Secondo Louis Malle "la contestazione non ha fatto che deteriorare la Mostra, le ha fatto perdere il suo prestigio e la sua fama internazionale". Alexander Kluge commenta invece che "pur avendo sostenuto la protesta in Germania (girando anche un film di nove ore sulle manifestazioni tedesche), la rivolta a Venezia è stata un'opera distruttiva contro un'occasione dove la libertà di competizione dava spazio ad ogni tipo di cinema". Per lui "l'errore di molte persone è stato quello di pensare che il commercio era contro il cinema". Alberto Lattuada, uno dei cineasti "moderati" insieme a Fellini e Visconti, riteneva che il festival fosse stato in questo modo ucciso per ingrandire Cannes.

Questo film sembra gridare il desiderio del festival di Venezia di riappropriarsi della propria coscienza stilistica, della propria storica supremazia e celebrità. Una scherzosa ammissione di colpa che rilancia con forza un'identità nazionale forte e rinnovata per il cinema italiano.