Recensione Blindness - Cecità (2008)

Una insperatamente fedele trasposizione del romanzo di Saramago per una pellicola che a volte risulta troppo poco cinematografica e non sempre coerente stilisticamente e narrativamente.

L'oceano bianco della cecità

Il bianco della purezza e della luce è - secondo il regista brasiliano Fernando Meirelles e il premio nobel per la letteratura Josè Saramago - anche il segno della cecità che avvolge come una nebbia, come un oceano di latte, un giovane di origine giapponese che si trova a guidare la sua automobile in una non meglio precisata città degli Stati Uniti. Il malessere arriva improvviso e sembra infettare in breve tempo tutte le persone con cui viene a contatto, dal signore - apparentemente cortese - che si propone di aiutarlo all'unico scopo di rubargli l'auto al medico che lo prende in cura. Questa inspiegabile cecità continua ad allargarsi tanto da destare l'interesse del Dipartimento della Salute che ordina di mettere in quarantena tutti gli infetti in uno stabilimento decadente, deficitario dal punto di vista dell'igiene, dell'ordine e delle cure mediche.
I primi ad arrivare sono appunto il medico-oculista insieme alla moglie, apparentemente immune alla malattia: la donna, pur decidendo di tenere nascosto il suo stato di vedente, aiuta il marito e tutti i primi arrivati ad organizzarsi per la sopravvivenza. Le cose si complicheranno all'arrivo di un maggior numero di infetti, la conseguente carenza di cibo e la natura stessa degli uomini che li induce a prevaricare i più deboli attraverso la forza e la violenza.

Il motivo per cui un romanzo così famoso e amato ha dovuto attendere oltre dieci anni per essere trasposto sul grande schermo è dovuto alla volontà del suo autore che temeva di vedere "svuotata" di significati un'opera così simbolica e profonda; lo sceneggiatore Don McKellar (che nel film interpreta lo spregevole ladro d'automobile) è riuscito evidentemente a convincere lo scrittore dimostrandogli la volontà di essere il più fedele possibile non solo ai fatti narrati, ma ai passaggi morali che essi contengono, adottando in molti casi interi passi del romanzo e facendoli pronunciare ad uno personaggi più emblematici della storia - l'uomo con la benda, interpretato da Danny Glover - facendone così una sorta di narratore onniscente che allo stesso tempo rappresenta una presenza "fisica" di Saramago nel film. Il risultato è così una insperatamente fedele trasposizione del libro, ma allo stesso tempo una pellicola che a volte risulta troppo poco cinematografica e non sempre coerente stilisticamente e narrativamente: con la grave conseguenza di non riuscire sempre a tenera alta la tensione drammatica nonostante la presenza di scene molto forti dal punto di vista emozionale.

Un'opera che risulta quasi frammentata dai cambiamenti del punto di vista e dagli improvvisi appannamenti, che colpisce in alcune scene soprattutto grazie alle performance di un cast di altissimo livello - i "coniugi" Julianne Moore e Mark Ruffalo su tutti - e alla messa in scena del graduale senso di degrado e abbandono prima dei dormitori e poi della città intera. Ma rimane la sensazione di un film difficile, imperfetto, che ha paura di non farsi "capire" e per questo non osa quanto potrebbe.

Movieplayer.it

2.0/5