Recensione Il calamaro e la balena (2005)

L'adesione di 'The Squid and the Whale' a quel composito e affascinante corpus denominabile nuovo cinema indipendente americano è totale, ma non asfissiante e di assoluto riguardo sono i risultati.

I mari delle parole e dei sentimenti

Un incipit tematico di rara genialità apre Il calamaro e la balena (traduzione letterale di The Squid and the Whale): siamo in un campo da tennis dove è in corso un doppio familiare. Da una parte della rete Bernard e Walt Berkman, padre e figlio maggiore, dall'altra Laura, la madre, insieme a Owen, il figlio più piccolo. E' una partita molto competitiva, chiara metafora delle tensioni domestiche. Poi il salto: improvvisamente siamo catapultati nel 1986 a Brooklyn dove non ci sono più le racchette di legno e il rovescio ad una mano è in via di estinzione. Bernard e Laura (Jeff Daniels e Laura Linney) sono alle strette finali: la separazione incombe e i due figli vengono costretti a transitare nevroticamente tra la nuova casa del padre e la vecchia dimora familiare, rimasta alla madre.

L'adesione di The Squid and the Whale a quel composito e affascinante corpus denominabile nuovo cinema indipendente americano è totale, ma non asfissiante e di assoluto riguardo sono i risultati. Noah Baumbach - fido collaboratore di Wes Anderson, per cui ha sceneggiato l'ultimo Le avventure acquatiche di Steve Zissou e da cui si è fatto produrre questo The Squid and the Whale - racconta con profonda leggerezza il disfacimento di una famiglia e le difficoltà della crescita, attraverso la sapiente miscelazione dello sguardo osservante, con un trasporto mai eccessivo, ma sufficiente a fornire il giusto calore umano alle vicende. Severo con i personaggi adulti (specie nel tratteggio della figura paterna: un insegnante intellettualoide, ex scrittore egoista e borioso) e partecipe con il disorientamento adolescenziale, Baumbach da' vita a un campionario umano di rara credibilità, senza mai calcare la mano o rifugiarsi in soluzioni facili e stereotipate.

Si diceva comunque di Wes Anderson. Non a caso, lo sguardo stralunato ma vigile del regista de I Tenenbaum aleggia sicuramente sul film. Ma in un modo stimolante e mai coercitivo o derivativo. Baumbach si dimostra più caldo nel raccontare le vicende dei suoi personaggi e giunge ad una sintesi personalissima, rifuggendo dalla tentazione di dedicarsi alla ricerca della soluzione visiva d'effetto. L'insicurezza e la difficoltà dell'adolescenza di Walt, solidale col padre e spaventato dal sesso, desideroso di visibilità tanto da vincere un concorso musicale fingendo di aver composto Hey You dei Pink Floyd e la scoperta della sessualità dell'irrequieto e sagace Owen, toccano vette di grande intensità emotiva. E' così che seppur muovendosi all'interno di quelle atmosfere, musiche e temi che lo legano di fatto a quella che sta progressivamente divenendo una vera e propria idea di cinema, quando non una Weltanschauung, il suo film si apre e si dilata, fino a sfuggirgli proficuamente di mano, come la vita sfugge di mano a Bernard, nonostante in quel periodo stava giocando il miglior tennis della sua vita. O forse era solo una sensazione.