Recensione L'enfant (2004)

L'enfant rappresenta la summa stilistica e tematica del cinema dei Dardenne ed è in questa evidente riproposizione che s'innesta probabilmente il difetto maggiore di un film comunque intenso, ma che non evolve rispetto all'opera precedente degli autori, rischiando di figurarsi sempre uguale a sé stessa.

Un padre bambino

Vincitore della Palma d'oro a Cannes 2005, L'enfant dovrebbe essere stata - almeno sulla carta - la scelta migliore per mettere d'accordo giuria, pubblico e critica. Per chi, però, conosce bene il cinema asciutto, duro e neo-realista dei fratelli belgi Luc Dardenne e Jean-Pierre Dardenne, espresso in opere come Il figlio e Rosetta, il film che li ha consacrati alla Croisette nel 1999, sa quanto poco compromissori e anti-retorici siano il loro stile e le loro storie, certamente lontani dal concetto di semplice intrattenimento e vicini, invece, a un modello di cinema d'impegno sociale attento ai perdenti, all'umanità ai margini che galleggia nei sobborghi periferici di un Belgio sbiadito ed evanescente nel suo grigiore anonimo e indifferente, reso ancora più livido da scelte fotografiche e di messa in scena precise, dettate dalla chiara volontà di pedinare i personaggi nella loro quotidianità.

Il sottobosco della micro-criminalità giovanile è il microcosmo scelto dai fratelli Dardenne, e nel quale lo spettatore è fatto calare per conoscere Bruno (Jérémie Renier, già protagonista a 9 anni dell'esordio dei Dardenne, La promessa), il protagonista ventenne della pellicola, che da pochi giorni è diventato padre di Jimmy, partorito dalla sua - ancor più giovane - compagna Sonia (Déborah Francois), che l'adora. Ma è chiaro fin da subito di come sia Bruno il vero bambino della situazione, anche perché la sua relazione con la giovane sembra essere più simile a quella tra due ragazzini che non a quella tra due neo-genitori, improntata com'è allo scherzo, alla rincorsa giocosa, all'effusione impulsiva.

Le azioni, i gesti, i pensieri di Bruno sono, poi, dominati dalla mancanza di istinto paterno e della scarsa consapevolezza non solo del suo nuovo ruolo, ma anche della differenza tra giusto e sbagliato. Del tutto incurante dell'arrivo del bambino, il ragazzo continua a vivere in una precaria illegalità, tra monolocali prestati e dormitori pubblici, campando con furtarelli organizzati con l'aiuto di un complice, un altro bambino stritolato dai meccanismi perversi del mondo esterno, regolato dal denaro e dal consumismo. Bruno riconosce suo figlio, ma alla prima occasione decide di venderlo a un giro di adozioni in cambio di una cifra considerevole, stupendosi poi della sconvolta reazione di Sonia, che lo denuncia immediatamente alla polizia. Grazie all'alibi offertogli dalla madre, Bruno riesce a non finire in prigione, ma la sua discesa all'inferno non conosce comunque sosta: scacciato dalla ragazza, Bruno è ricattato anche dai membri del racket delle adozioni ai quali ha fatto fallire l'affare, e per procacciarsi il contante è costretto a vendere tutto ciò che possiede, rimanendo senza i soldi per mangiare.

Programmato l'ennesimo colpo con il suo socio-ragazzino, Bruno scampa ancora alla cattura, ma non sopportando di vedere il suo amico arrestato, prende la prima decisione matura della sua vita e si costituisce. E' proprio di fronte a questa prima presa di coscienza di Bruno che i cineasti belgi lasciano intravedere un barlume di speranza per il futuro dei due giovani. Una nota rincuorante che ha sempre contraddistinto il lavoro dei Dardenne, giungendo a controbilanciare la disperazione del ritratto umano composto dai registi, a partire dall'impiego della macchina a mano e dalla quasi assenza di una colonna sonora musicale.
L'enfant rappresenta, dunque, la summa stilistica e tematica del cinema dei Dardenne ed è in questa evidente riproposizione che s'innesta probabilmente il difetto maggiore di un'opera comunque intensa e anti-retorica, ma che non evolve rispetto alle precedenti dei due autori, rischiando di figurarsi sempre uguale a sé stessa.